ROBERTO OSCULATI

Ordinario di Storia del Cristianesimo
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania
(1987 - 2012)
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"Il dolce appostolo Pavolo, vasello d'elezione"

in L’Eros difficile. Amore e sessualità nell’antico cristianesimo, a cura di S. Pricoco, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998, pp. 281-296.

"Perché al cognoscimento séguita l'amore, amando cerca di seguitare e vestirsi della verità": così Caterina da Siena, all'inizio del suo Libro della divina dottrina, indica la via che deve essere percorsa da "una anima ansietata di grandissimo desiderio verso l'amore di Dio e la salute delle anime". Chi ha colto con lo sguardo intellettuale la verità suprema del divino deve immergersi con la carità nell'abisso dell'amore. Allora l'anima, come insegna nell'evangelo giovanneo il Figlio unigenito, "si fa un altro lui", è adornata dal "vestimento nuziale", ha "perduta e annegata la propria volontà", che si è conformata con quella del "dolce e amoroso Verbo" (Capitolo I). All'illuminazione della mente segue il palpito del cuore, che aspira alla mistica morte d'amore nell'assoluto. Il complicato mondo psicologico dell'io, il tempo, lo spazio, la materia, la società, la stessa chiesa scompaiono nella luce e nel fuoco dell'unica verità e dell'unico amore. Il molteplice si annulla nell'uno e l'anima trova la sua più intima essenza, mentre si supera nella sua unità con il divino. L'evangelo giovanneo e la mistica neoplatonica, l'insegnamento di Agostino e quello di Tommaso danno alla donna senese i criteri per ordinare e comunicare la sua esperienza bruciante. Ella ha cercato la verità suprema, che l'ha attratta a sè, ha sconvolto la sua esistenza, l'ha trascinata fuori da ogni vita normale, è arrivata a spingerla sulla scena pubblica. La luce del vero e la fiamma dell'amore l'han resa simile ai profeti d'Israele, guida del popolo disperso e corrotto, maestri di re e sacerdoti, custodi della parola divina nel mondo delle finzioni umane. Lo spirito gotico della figlia del tintore senese è bramoso di giungere agli estremi. Vuole scrollarsi di dosso un mondo contorto, avviluppato nelle sue lotte, nei suoi egoismi, nelle sue astuzie. La cupidigia dei mercanti e dei banchieri, la violenza degli uomini d'arme, gli interessi materiali dei gerarchi religiosi, la cecità delle fazioni sono un orrendo spettacolo per la mente che si è elevata al mistero divino e per il cuore pervaso da un unico amore. La lunga ascesa intellettuale e morale di Dante al Paradiso diventa in Caterina un empito immediato e travolgente, promosso da una forza spirituale che tutta l'anima e la possiede. Anche il suo corpo è dominato dall'amore supremo e, come quello crocifisso di Cristo, diviene segno dello Spirito divino, quasi sacramento visibile dell'opera redentrice. Lontana dalla cultura universitaria di laici e di chierici, impotente sul piano economico e politico, Caterina percepisce in modo diretto ed emozionale il simbolo del corpo crocifisso ed ucciso come luogo della suprema rivelazione del divino, della liberazione dal male, dell'adesione illimitata alla verità, del profondersi dell'amore più intenso. ella vuole seguire "le vestigie di Cristo crocifisso" ed esibire, di fronte alla chiesa e alla società, la sapienza della croce, stoltezza per il mondo, ma segno universale di giustizia e di pace. Lo spirito femminile e sponsale di Caterina, che ha rifiutato il matrimonio e la maternità, aderisce con tutto se stesso al crocifisso. Vuol confondersi con lui, provare quello che egli sentì, amare e soffrire secondo la sua misura suprema, essere associata alla sua debolezza e alla sua forza. Così diventerà sposa e madre in un modo ben più appassionato di quanto i costumi usuali e il volere della sua famiglia pretendevano.

La follia amorosa di Caterina trova uno dei suoi principali maestri nell'apostolo Paolo. Le dispute sviluppatesi a seguito delle riforme cinquecentesche hanno fatto spesso considerare l'antico fariseo, divenuto araldo della grazia evangelica, secondo la loro ristretta prospettiva. La legge, quale peso insopportabile, e il supremo arbitrio della grazia, che libera l'animo oppresso, sembrarono il centro del messaggio paolino. L'acuto teologo, conoscitore della legge e illuminato da Cristo, aveva scoperto la chiave che univa l'animo sofferente al divino, aveva proclamato la nuova libertà del cristiano. Le contorsioni di colui che era schiavo dei propri ideali morali sono finite: il servo ipocrita, infido, disobbediente e arrogante diventa il peccatore che riconosce la propria impotenza e si affida alla grazia. La sensibilità palpitante e femminile di Caterina vede invece in Paolo un maestro d'amore. Similmente all'altro grande teologo del Nuovo Testamento Giovanni, l'apostolo delle genti è stato illuminato dalla verità divina apparsagli nel Cristo risorto. La sua trasformazione spirituale è dominata dall'amore, dalla dedizione, dalla compartecipazione nei confronti del crocifisso, segno di morte e di vita, di dolore e di amore, sigillo ultimo dell'opera redentrice. La giustificazione per mezzo della fede viene considerata come un immergersi nella verità e nell'amore testimoniati dalla croce. Non si tratta di una teoria teologica, di un dogma dottrinale. È piuttosto un'emozione sconvolgente e definitiva, che si iscrive in una verità ultima e permette di arrivare all'amore vero, alla conformità, all'imitazione. Il rapporto con il divino assume il volto sconvolto di gesù sofferente e morente per amore, di cui si deve diventare compagni, imitatori e annunciatori con tutta la forza del proprio sentimento. Nell'esperienza psicologica e fisica della croce l'universo svela il suo enigma e si apre alla verità e alla speranza. In quella condizione spirituale bisogna tuffarsi senza remore, senza calcoli, senza paure. In quell'esperienza d'amore si produce la redenzione.

Infinito amore, infinito dolore

Non saranno mai le opere della penitenza a produrre la conciliazione con il divino. Piuttosto è necessario l'infinito desiderio che l'animo prova della verità e dell'amore. L'anima allora è afferrata dal divino e s'immerge in un amore senza misura, cui corrisponde il dolore per il male. In questa emozione suprema il peso del male è annullato e il finito s'affaccia all'infinito nell'esercizio della carità, come l'apostolo insegnò nel suo inno alla carità (Capitolo III). Tutta l'opera umana che si sforza di rendersi gradita al divino è inutile senza questo affetto supremo e questa trasformazione spirituale. Il divino si rende presente con la sua attrazione, con il suo fascino, con la sua abissale capacità di illuminare e rendee a sé conformi, superando d'un balzo tutte le costruzioni devote degli esseri umani. Non bisogna guardare se stessi e le proprie opere, ma lasciarsi attrarre dall'abisso della trascendenza rivelatosi sulla croce. In questa condizione "la volontà vuole essere in tutto morta e abnegata e sottoposta alla volontà divina", come Paolo ha insegnato quando ha chiesto di mortificare il corpo e uccidere la propria volontà. Questa mistica conformità non può essere ottenuta con la molteplicità delle operazioni morali rivolte al mondo finito, ma in un rapporto totale di dedizione all'infinito, senza legge né termine. Dall'intimo affetto della carità nascono tutte le virtù, il dominio di sé, del mondo e del demonio (Capitolo XI). L'amore del prossimo sgorga dalla medesima fonte ed è imitazione del divino, che ha amato per pura grazia. Non potendo gli esseri umani amare Dio in modo gratuito, devono imitarlo nel loro amore verso il prossimo, senza attendersi ricambio o ricompensa. Per questo motivo, come Cristo disse a Paolo, chi perseguita i fedeli, perseguita il Cristo stesso (Capitolo LXIV). L'amore di dio e l'amore del prossimo sono così strettamente unità nella volontà infiammata dall'amore divino che non c'è più differenza tra la preghiera e le opere della carità. L'una e le altre provengono dalla stessa fonte dell'amore divino e costituiscono quella preghiera incessante che Paolo richiedeva (Capitolo LXVI). L'esercizio dell'amore divino nel mondo può dar luogo al disprezzo di chi non lo capisce e Caterina si immedesima nella condizione di Paolo, che può anche essere maledetto, ma benedice, perseguitato ma pieno di gratitudine, disprezzato ma forte nel sopportare. La pazienza, la forza, la perseveranza di chi è inebriato dal sangue di Cristo crocifisso non temono alcuna persecuzione. Se la speranza è stata riposta nell'ultima verità e nell'amore supremo non c'è vicissitudine, persecuzione o disprezzo che possa turbare l'animo innamorato. Come il Cristo sulla croce non badò agli insulti e ai sarcasmi, così i suoi discepoli "sonno tanto fermi e stabili nel loro volere andare per la via della verità, e non allentano, ma fedelmente servono al prossimo loro, non raguardando all'ignoranzia e ingratitudine sua". Di fronte a questo amore incondizionato si produce un continuo rovesciamento di valori. L'odio produce misericordia, l'invidia generosità, la crudeltà pietà, l'ingiuria la pazienza. Nulla può offuscare quel sentimento d'amore che abbevera nella profondità del divino e ne mostra la forza invincibile. Di fronte ad esso le passioni e le violenze del mondo sono deboli e passeggere (Capitolo LXXVII). Paolo ha rivissuto nella sua vicenda apostolica il significato più profondo dell'amore crocifisso. Nella sua debolezza si nasconde una forza che nulla può contrastare e a cui inevitabilmente compete la vittoria. La fedeltà dell'amore, se ha gettato le sue radici nella vita divina e continuamente ne trae alimento, produce quella novità di cui il crocifisso è l'origine e che si perpetua nel suo mistico corpo. Le sue membra, sparse sul mondo della menzogna e della violenza subiscono la medesima sorte e riportano continuamente la vittoria sul male. L'amore nascosto sotto le apparenze del dolore, dell'ingiuria, della sconfitta, è il vero significato delle vicende umane e le conduce al loro compimento. L'occhio esercitato a scoprire l'amore sotto il velo della sofferenza scopre l'energia del divino e ad essa affida la sua vita. Ma, ancor di più, colui che ha scoperto la pienezza dell'amore desidera sopportare le pene e si fa onore di essere assimilato al Cristo nel suo "crociato amore" (Capitolo LXXVIII). Anche qui Paolo è maestro quando afferma di gloriarsi nelle tribolazioni e negli obbrobri, nel Cristo crocifisso, di cui porta i segni nel suo corpo. Imitando il messia sofferente per amore, Paolo esercita la sua missione apostolica: accoglie la sofferenza e la rende testimonianza del suo amore per la comunità dei fedeli. Il processo della redenzione si compie nella vita fisica e spirituale, continuando e mostrando l'opera di Cristo. Ogni animo mosso dall'amore divino è assetato di questa perfezione paradossale dell'amore. È la garanzia infatti che non si opera per se stessi, ma a vantaggio di chi è lontano dal divino, soffrendo gioiosamente al suo posto e a suo vantaggio. Costoro non vanno più alla ricerca della propria consolazione spirituale, ma vivono totalmente ignari di sè per Dio e per il prossimo.

Il mare, il sangue. il corpo

"Allora levandosi l'anime con ansietato desiderio, corsero con virtù per lo ponte della dottrina di Cristo crocifisso, giongono alla porta levando la mente loro in me, bagnate, inebriate di sangue, arse di fuoco d'amore; gustano in me la deità eterna, el quale è a loro uno mare pacifico, dove l'anima ha fatta tanta unione che veruno movimento quella mente non ha altro che in me " (Capitolo LXXIX). L'immagine del mare, accanto a quella del sangue, è una parabola del divino. Come il mare tutto in sé sommerge, annullando ogni movimento autonomo, così il divino si impossessa della creatura amante e la fa naufragare nella propria pace infinita. L'ansia della ricerca, la preoccupazione della virtù, il desiderio di soffrire si placano lì nella loro origine e nel loro ultimo fine. C'è un movimento onnicomprensivo e pacificante che accoglie in sé ogni angustia della creatura. L'immagine femminile e materna dell'acqua, fonte di morte e di vita, ha una lunga storia nei simboli cristiani della redenzione. Le acque primordiali, quelle del diluvio, quelle del Mar Rosso e del Giordano sono profezie del battesimo e dello Spirito, di un sublime ventre materno che accoglie, rigenera e tranquillizza le creature disperse nel mondano. La croce, fonte di acqua e di sangue, introduce a questa realtà primordiale e definitiva. Anche Caterina da Genova e Maria Maddalena de Pazzi nei secoli successivi indicheranno il compiersi del mistero divino con l'immagine del mare. Pure la mente razionale di Giacomo Leopardi aspirerà ad un supremo e dolce naufragio nell'infinito, riprendendo un caratteristico tema della mistica femminile. Nel mare si dissolve il corpo, origine di tanto dolore, così come si sciolgono i viluppi del'anima, che riflette le angustie della sensibilità. Caterina, seguendo le tracce dell'ascesa spirituale di Paolo, ritiene che per l'animo innamorato del divino, il fascino dell'assoluto costituisce un vincolo più forte di quello dell'anima con il corpo. L'animo attratto dal bene supremo aspira a sciogliere i legami con la materia: "la fortezza dello spirito unita in me leva da terra la gravezza del corpo. El corpo sta come immobile, tutto stracciato dall'affetto dell'anima" (Ibid.), tanto che morirebbe se la bontà divina non lo soccorresse. Il corpo, sottratto al fascino del mondano, diventa quasi un'appendice dell'anima e mostra, nella sua disarticolazione, la supremazia dell'azione divina e dell'amore che ha travolto la creatura. È come uno straccio, svuotato di dignità propria e di energia individuale. Prevalgono invece le funzioni spirituali e la memoria è riempita dal divino, l'intelletto coglie la verità suprema, l'affetto, staccatosi dalla mondanità, aderisce all'oggetto divino. In questo mistico naufragio l'occhio vedendo non vede, l'orecchio udendo non ode, la lingua parlando non parla, la mano toccando non tocca, i piedi andando non vanno. Tutte le membra infatti "sono legate e occupate dal legame e sentimento dell'amore" (Ibid.). Così l'esperienza umana comune sembra rovesciarsi. Il corpo di solito attrae a sé l'anima e questa si stacca dal divino. Ora il baricentro si sposta del tutto dall aparte opposta e le stesse membra, contro la loro natura, vorrebbero immergersi nel divino, staccandosi dal corpo e dall'anima. Quando Paolo gridava la propria infelicità per essere soggetto alla legge del corpo, avversa a quella dello spirito, non intendeva parlare dell'opposizione che il corpo esercita verso lo spirito. Questa lotta in lui era già stata vinta dalla grazia divina e non aveva motivo di dolersene. Piuttosto si lamentava di essere ancora "legato al vasello del corpo", che gli impediva la visione del divino e lo obbligava a trattenersi tra coloro che ne sono lontani. A Paolo sembrava "che 'l sentimento del vedere impigrasse il vedere dello spirito, cioè che 'l sentimento umano della grossezza del corpo impedisse l'occhio dell'intelletto [...]. La volontà gli pareva che fusse legata a non potere tanto amare quanto desiderava amare, perché ogni amore in questa vita è imperfetto in fino che non giogne alla sua perfezione" (Ibid.). L'amore di Paolo, in quanto viveva ancora nelle dimensioni mondane, non poteva saziarsi totalmente alla fonte. Questa era la ragione della sua pena e del suo desiderio di staccarsi dal corpo. Una volta che l'anima fosse stata separata dalla sensibilità materiale, sarebbe stata riempita della visione e dell'amore divini senza alcun impedimento. Né avrebbe potuto desiderare qualcosa che già non possedesse. Il corpo è un peso che impedisce il compiersi del desiderio amoroso. Secondo Caterina lo spirito veggente ed amante vive sospeso tra due realtà contrapposte l'una all'altra, tra due abissi, tra due attrazioni fondamentali. Da molto tempo la cultura platonica li aveva studiati e illustrati e il cristianesimo aveva assorbito in se stesso questa analisi dei destini dell'anima. L'intensità con cui Caterina sente il desiderio dell'assoluto divino immobilizza il suo corpo, lo rende come se fosse morto e incapace di qualsiasi movimento. Il possesso amoroso la paralizza, la fa essere e non essere, la conduce alle soglie di un'esperienza che supera il suo io in una forza avvolgente e onnicomprensiva. In lei il problema etico di Paolo e la metafisica platonica assumono un volto emozionale e sperimentale. I fenomeni che avvenivano nel suo corpo martoriato dalla malattia erano un segno dell'amore che la pervadeva e la immobilizzava. La sospensione della sua sensibilità era manifestazione di una vita perfetta che si impossessava di lei e volgeva a sé tutte le sue facoltà. Abbagliato, ammutolito, paralizzato dall'amore divino il suo corpo diventava simile a quello di Cristo, come l'arte del suo tempo lo rappresentava sulla croce. L'estinzione della sensibilità umana rivolta verso il mondo era il trionfo della carità. Il silenzio della croce era la parola più eloquente, lo sguardo della morte era quello della vita, l'immobilità dell'umano rivelava l'energia del divino. L'eterno conflitto tra la carne e lo spirito era terminato, la rivalità tra l'anima e il corpo era spenta, il dissidio tra Dio e la sua creatura placato. Il naufragio dell'umano svelava i termini della pace suprema, seguita ad una lunga guerra che è iniziata con la colpa delle origini e rinasce in ogni nuova esistenza.

Il divino e la croce

Nell'identificazione col crocifisso Paolo è ancora una volta maestro. Egli infatti ha percorso tutti i gradi dell'unione con il divino. Aveva gustato il bene supremo quando era stato elevato al terzo cielo, ovvero, come Caterina interpreta, alla contemplazione della Trinità. In quell'esperienza egli aveva pienamente conosciuto il Padre, la Verità del Verbo fatto carne e lo Spirito. Ma la volontà divina lo spogliò della visione di se stessa e gli mise dinnanzi il Cristo crocifisso. Contemplò allora la verità nella veste dell'abominio della croce e fu attratto ad essa dal fuoco dello Spirito. Quando vide il Cristo sulla via di Damasco e fu percosso dalla sua potenza, non si ribellò ma si pose al suo Servizio, rivestendosi della dottrina di Cristo crocifisso "e strinselo per si fatto modo [...] che giamai no gli fu tratto di dosso" (Ibid. LXXXIII). Né i demoni, né le tentazioni carnali, né le tribolazioni poterono strappargli questo vestito, cui aveva aderito con tutto se stesso. Anzi "tanto sello strinse, che egli ne die' la vita, e con esso vestimento ritornò ad me, Dio eterno" (Ibid.). Qui Caterina delinea nel modo più intenso la sua interpretazione della teologia di Paolo. Paolo aveva conosciuto la più intima essenza del divino: il Padre origine di ogni vita, il Verbo quale suprema verità e lo Spirito, vincolo d'amore e misericordia. Vita, verità e amore, nella loro stretta e totale unità, sono all'origine di ogni realtà creata. L'animo umano, che proviene da quella fonte primordiale, deve tornarvi. Tuttavia tra la perfezione del divino e la storia dell'umanità si è scavato, a motivo della colpa, un abisso che le forze umane non possono più colmare. Per la creatura corrotta le opere della creazione e l'essenza del divino sono divenute irriconoscibili, anche se in se stessa ne porta i segni più elevati, la memoria, l'intelletto, la volontà. Il divino è divenuto un enigma insolubile. La vita nella sua essenza, la verità nel suo splendore, l'amore con il suo fuoco unificatore sono lontani dallo spirito avviluppato nella tenebra e nei lacci del mondano. La vita, la verità e l'amore non hanno però abbandonato la creazione alla colpa e alla morte. Un ponte è stato gettato tra lo splendore del divino e l'orrore del male. Il corpo di Cristo crocifisso è il tragitto offerto alle anime per passare dalla turpitudine del mondano alla verità e all'amore divini. Il capo, il costato e i piedi del crocifisso sono l'immagine pratica e concreta del divino messa dinnanzi ai peccatori, perché non siano abbandonati al loro destino. La teologia trinitaria, vertice della speculazione e cifra ultima della realtà, ha quale sua anticipazione nella sfera del mondano la teologia della croce, della verità fatta uomo, sottoposta alla sofferenza e alla morte, testimonianza di amore puro e innocente. Paolo è stato eletto dalla volontà divina a banditore di questa via verso la verità e l'amore ultimi. Proprio per tale motivo dal terzo cielo della contemplazione è stato rinviato nel mondo della colpa e della pena, della sofferenza e del desiderio incompiuto. La sua stessa vita è diventata simile a quella del crocifisso e la sua morte ha testimoniata la sua fedeltà alla legge della croce. Caterina vuole unire strettamente le due teologie, quella della purezza originaria ed assoluta del divino e quella del desiderio sofferente, quella dello splendore della vita e quella dell'orrore della morte. Il messaggio di Paolo, secondo lei, compie provvidenzialmente questa sintesi e mostra la scala attraverso la quale il peccatore, attratto dalla grazia, può ascendere nel pellegrinaggio mondano verso l'assoluto. La teologia e la vita di Paolo hanno un posto provvidenziale: egli fu un animo sofferente per amore ed ebbe un corpo soggetto alla fatica e alla prova. Divenne così esempio di tutti coloro che aspirano a liberarsi dal mondano e a raggiungere il divino nella sua perfezione. Il linguaggio paolino della croce si unisce ai simboli giovannei dell'acqua e del sangue usciti dal corpo del crocifisso. Ci si può immergere nell'acqua spirituale del divino se ci si è immersi nel sangue. Il mare della mistica unione presuppone l'effusione amorosa del sangue, l'uscita dolorosa da sé, l'amore accompagnato dalla sofferenza. Caterina esorta a nome del Padre: "anniègati dunque nel sangue di Cristo crocifisso, umile, crociato, immaculato Agnello [...], acciò che si nutrichi el fuoco della divina mia carità in te" (Capitolo XLI).

Le lacrime dello Spirito

Accanto all'acqua e al sangue Caterina pone anche le lacrime, quale simbolo delle più profonde esperienze spirituali. Secondo la sua catalogazione ci sono cinque tipi di lacrime. Quelle dei malvagi che esprimono la loro dannazione, quelle di coloro che temono la pena delle loro colpe, quelle di chi ha compassione di se stesso, quelle che esprimono compassione per il prossimo, quelle infine che esprimono l'unione con il divino e l'effusione della sua bontà. Le lacrime procedono sempre dal cuore e ne manifestano la natura. Le ultime soltanto esprimono la vera perfezione di un animo pacificato. Ma Paolo insegna che anche lo Spirito piange di fronte al Padre a favore delle creature umane. Seguendo la dottrina dell'apostolo, Caterina aggiunge alla teologia trinitaria e a quella della croce la teologia dei carismi spirituali. Il divino si impossessa dell'anima, la smuove, la educa, la conduce, la fa palpitare. Sentimenti e parole le sono suggeriti dalla forza divina. La preghiera è la manifestazione più elevata del possesso che lo Spirito divino assume dell'animo umano. Il gemito dello Spirito che attende il compimento delle opere divine non ha bisogno del segno esteriore delle lacrime. Il desiderio è così puro, infuocato e teso da non sciogliersi nell'effusione del pianto. La carità divina "accende con la sua fiamma l'anima che offera ansietati desideri dinanzi a me, senza lagrima d'occhio" (Ibid.). Tutta la condizione dell'anima è pervasa dal desiderio del divino, dalla sua potenza, dalla sua presenza. L'amore crocifisso e l'amore carismatico, uniti nella stessa fiducia, danno luogo al'esperienza spirituale dell'attesa del divino nel mondo, senza più badare ad altro che alla sua verità e al suo amore. È il vertice dell'amore ecclesiale e sponsale, è la perfezione più alta della vita umana. L'immagine conclusiva dell'Apocalisse ne è la presentazione più intensa: "Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!" (Apocalisse 22,17). Il carisma dello Spirito volto all'escatologia mostra il carattere ecclesiale della visione religiosa di Caterina. La vera chiesa è quella che, purificata nel sangue della croce, brucia d'amore per lo sposo che ha superato la morte e la introdurrà nella vita eterna e nella pace perfetta. L'anima, elevata a questa unione con il divino, è resa una sola cosa con lui, si trasforma tutta in un desiderio e in un grido, che però non possono più essere espressi da voce umana. Paolo l'aveva insegnato quando aveva sostenuto che né occhio, né orecchio, né cuore umano possono vedere, sentire o pensare quanto è predisposto a favore di quelli che amano Dio (Capitolo XCVI). Tuttavia la provvidenza divina lascia sempre nell'animo di quelli che eleva a sé un pungolo, "sì com'Io feci al dolce appostolo Pavolo, vasello d'elezione" (Capitolo CXLV). Lo scopo di questo tormento che li acompagna nella vita terrena, pur nella sublimità dei doni ricevuti, è molteplice. Essi possono meritare con le loro fatiche, non perdono il senso dei loro limiti, conservano l'umiltà e sono compassionevoli verso il prossimo: "però che molta più compassione hanno a' tribolati e passionati, sentendo eglino passione, che se non l'avessero" (Ibid.). Il vero amore verso Dio e il prossimo esige l'umiltà e la comprensione della fatica umana nel suo sforzo di raggiungere una verità ed un amore nascosti e difficili. Infine la povertà è la garanzia più sicura per passare indenni attraverso il fascino dei beni mondani, per disprezzarne l'attrattiva, per essere sicuri, coraggiosi e fedeli. Il mistero sublime dell'amore ha voluto assumere i tratti umani della povertà. Tutta la vita di Cristo, dalla nascita fino alla croce, lo dimostra e diviene regola pratica del vero amore. Assieme a lui ne diedero l'esempio "gli apostoli povarelli e gli altri gloriosi marteri, Pietro, Paolo, Stefano e Lorenzo" (Capitolo CLI). E di nuov, al termine del suo percorso teologico, Caterina raggiunge gli accenti del Paradiso di Dante, per il quale l'amore supremo esige la liberazione da tutti gli interessi mondani. Cristo stesso, gli apostoli, Benedetto, Francesco e Domenico erano stati maestri della chiesa dell'amore, della verità e della libertà dai rivestimenti mondani. E anche il Petrarca copriva di sarcasmo la gerarchia ecclesiastica del suo tempo, immemore della chiesa delle origini, quasi selvatica nella sua nudità e povertà. Allo spogliamento della croce si erano sostituiti gli ingannevoli rivestimenti del mondo e gli inganni satanici.

Il mio banditore

Caterina dà forma compiuta al suo universo teologico quando la gerarchia suprema della chiesa occidentale si trova di fronte a una delle sue crisi più gravi. Il lungo periodo del papato avignonese sembrava terminato, la pace tra il papa e le fazioni dell'Italia centrale sembrava conclusa. Roma sarebbe di nuovo divenuta il centro dell'unità religiosa dei popoli cristiani. Ben presto queste speranze, fomentate con la massima energia anche dalla profetessa senese, sarebbero andate deluse. Il papato si sarebbe scisso e gli interessi mondani della gerarchia ecclesiastica sarebbero prevalsi sull'amore evangelico, sulla povertà, sull'imitazione del crocifisso. In questo contesto la figura di Paolo appariva come testimonianza della vera chiesa, purificata dalla croce, innamorata di Cristo, spogliata dei beni e degli interessi terreni, afferrata dall'abisso dell'amore divino. La mistica domenicana, non meno di quella francescana, era pervasa dall'idea che il bene supremo era apparso nelle forme dell'umanità sofferente di Cristo. Il divino della metafisica, l'uno supremo ed assoluto, aveva assunto un volto concreto nella storia degli uomini. Il difficile argomentare razionale alla ricerca dell'assoluto veniva superato dal gesto risolutivo dell'incarnazione della suprema verità. I misteri della carne di Cristo, per usare il linguaggio di Tommaso, dipingevano al vivo di fronte agli occhi di tutti la realtà del divino nella sua comunicazione più sconvolgente ed universale. Chi non si sarebbe commosso di fronte alla nascita umile, ai miracoli, ai gesti di misericordia e di amicizia, all'amore sconfinato della morte? Il corpo del Verbo fatto carne, con le sue azioni, le sue parole e i suoi sentimenti era la guida più sicura per essere condotti fuori dal mondo della cecità fino alla visione dell'assoluto. La luce e l'amore dell'ineffabile rivestivano i tratti di un'umanità profusa per il bene di tutti. Lo stesso Tommaso, così addentro nelle arti della metafisica e della logica, dedicava la terza parte della sua Summa alla verità fatta vita umana, e con sempre maggiore insistenza tornava al commento delle lettere di Paolo. La mistica emozionale di Taulero contemplava e gustava l'infinito nelle sue vesti umane e nello sforzo di suscitare in sé i sentimenti che furono di Cristo.

In una chiesa sconvolta dagli interessi giuridici, politici ed economici, l'evangelo paolino del messia crocifisso risuonava con piena attualità. In altri momenti il successo dell'azione missionaria, educativa, organizzativa poteva aver messo in ombra i paradossi dell'epistolario dell'antico fariseo, i suoi strappi nei confronti di una religione ben organizzata nella perfezione delle sue leggi. Ora invece il messaggio di Paolo risuonava nella sua attualità ed immediatezza. La profezia cristiana, che aveva pervaso il suo animo ipersensibile ed emozionato, ancora una volta appariva come il cuore della fede. di fronte al marasma che si era creato nelle coscienze e nella società bisognava rinnovare l'esperienza di illuminazione, conversione e dedizione dell'apostolo. In lui il divino si era rivelato nella sua potenza, come la verità assoluta che esigeva l'amore assoluto. Secondo questa dimensione verticale il mondo delle finzioni, delle apparenze, dei raggiri appariva nella sua miseria. Una luce suprema, come quella apparsa sulla via di Damasco, doveva squarciare la cecità di chi professava una religione di calcoli, di interessi, di misure, di prepotenze. Il grande organismo esteriore della chiesa doveva essere sottoposto al giudizio di una verità che lo illuminava e giudicava dall'alto. La sete di verità caratteristica di Caterina e di molti animi inquieti del suo tempo poteva essere saziata soloda un'esperienza simile a quella dell'apostolo, accecato ed illuminato, disarcionato e trasformato dalla rivelazione del divino. Lo splendore della luce che dall'intimo trasformava l'intelletto doveva diventare un amore bruciante che purificava ed infiammava la volontà. L’uomo interiore doveva essere trasformato nelle sue dimensioni più profonde, perché la realtà gli apparisse come il divino stesso la vedeva, non come gli esseri umani la costruivano o distruggevano secondo i loro interessi meschini. L’apostolo insegnava la vera sapienza e faceva apparire il mondo nella sua verità. Intelletto e volontà avevano a che fare con il peso del corpo, con le sue commistioni col mondano. Qui Caterina si immedesima con l’apologia che Paolo fa di se stesso soprattutto nella Seconda lettera ai Corinti. L’apparenza esteriore di Paolo era miserabile, tante volte il suo corpo era stato soggetto alle umiliazioni, alle battiture, al disprezzo. Ma era proprio questa sorte spregevole a rivelare il mistero della verità e dell’amore divini. Un corpo florido e ben curato avrebbe solo rivelato la pretesa umana della autoglorificazione, l’illusione di trovare la pace nel dominio sulle creature. Il corpo pervaso dal divino è invece afflitto e distrutto per mostrare una verità che sta oltre le dimensioni della materia e della mondanità. La follia dell’amore divino sconvolge ogni benessere della carne umana. Diviene uno spettacolo miserevole agli occhi di chi cerca di soddisfarne le esigenze. Ma, come un tempo Paolo mostrò nel suo corpo i segni della sorte messianica, così il credente d’ogni tempo deve ripetere in sé la morte di Cristo, nell’umiliazione della sua carne mortale e nel disprezzo di quanto ad essa è gradito. Il profetismo della mente illuminata dal vero assoluto, della volontà pervasa dall’amore supremo, è testimoniata da un corpo macerato e sofferente, che aspira a staccarsi dalla vita terrestre. Il corpo del martire porta i segni della verità e dell’amore. La sofferenza garantisce l’assoluto e la sua paradossale presenza nelle vicende umane. Di fronte alla corruzione ecclesiastica, scaturita dal desiderio di benessere materiale, bisogna seguire la via degli apostoli, che è quella del loro maestro. La miseria del corpo è scuola di umiltà, di misericordia, di compartecipazione alle sofferenze umane. Ma insegna anche la dignità, l’autonomia e la fermezza di fronte alle comodità, al denaro, al lusso, al potere.

La chiesa della verità, dell’amore, della croce, dell’umiltà e della povertà deve essere infine anche la chiesa dello Spirito, della clemenza che sospira ed intercede per la liberazione del genere umano dalle spire del male. L’assoluto che appare nel crocifisso deve diventare un’esperienza interiore dell’animo nell’attesa del compimento escatologico. Caterina si immedesima nell’esperienza di Paolo e riordina secondo i suoi schemi mentali e le sue più intense emozioni. Assieme a Giovanni, ad Agostino e a Tommaso "il dolce apostolo" è il maestro dell’amore perfetto in una chiesa sconvolta e in una società in preda all’egoismo e all’odio. Alla scuola di Paolo Caterina vive il suo amore sponsale per il crocifisso e per il suo mistico corpo. Diventa madre di una chiesa bisognosa d’aiuto, d’ammonimento, di rimproveri e di conforto. Memoria, intelletto, volontà e corporeità, per usare uno schema da lei mutuato, sono pervasi e travolti dal sommo bene, come accadde all’apostolo divenuto banditore del mistero divino. L’infinita verità, l’infinito amore e l’infinito dolore caratterizzano il faticoso passaggio dal mondano al trascendente, dall’odio all’amore, dal vizio alla virtù.

Il paolinismo di Caterina sembra trovare il suo ambiente estetico nell’arte gotica del suo tempo. Lo slancio nervoso degli archi verso l’alto e verso la luce, l’intrecciarsi agile delle forze tese ad un disegno sublime, il perdere di peso della materia esprimono un analogo bisogno di purificazione, di nettezza, di sublimazione. Lo spirito umano dal labirinto del mondo vuole essere elevato al regno della luce e dell’amore, dell’armonia originaria turbata dal peccato. Il vigore estatico ed amoroso delle figure dei santi, avvolte nell’oro, segno del divino, mette dinnanzi allo sguardo del fedele l’umanità ideale. Il divino vi ha trovato il suo riflesso più intenso, il carisma spirituale li ha avvolti e ha mostrato i frutti del sangue sparso sulla croce. Nell’arte senese del Trecento soprattutto Maria mostra nella sua fedeltà e nella sua fecondità divina il carattere amoroso e materno del divino rispecchiato tra le vicissitudini dell’umano. E anche il vigore profetico e messianico della teologia di Paolo può apparire come un arco lanciato tra la miseria dell’umano e lo splendore del divino, tra le vanità del mondano e la forza vittoriosa dell’assoluto. L’architettura spirituale, dominata dall’ansioso desiderio del bene supremo, si slancia verso un mondo interiore che assorbe in sé e cancella ogni inquietudine e ogni contraddizione artificiosa. L’amore purificato da ogni interesse ne è la regola ultima e procura la pace ultima dello spirito.

Roberto Osculati